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Un Uomo “in piedi” Fino alla Fine


Siamo anziani, sì, ma custodiamo nel cuore il desiderio irrinunciabile di sognare. E in questi giorni, il nostro pensiero corre a Papa Francesco, un uomo che ci ha insegnato come i sogni non abbiano età. Ci è giunta la notizia della sua scomparsa, avvenuta “in piedi”, metafora potente di un’intera esistenza vissuta con la schiena dritta, lo sguardo rivolto agli ultimi e il cuore proteso verso un orizzonte più grande.
Lo ricorderemo, nitido come fosse ieri, all’inizio del suo pontificato, a Lampedusa. Lo rivediamo camminare tra i migranti, volti segnati dalla fatica e dalla speranza, in cui lui, figlio di emigrati, riconosceva lo specchio della sua stessa storia familiare, quella di chi cerca un futuro “alla fine del mondo”. Era un pastore che cercava le sue pecore laddove la vita è più dura, dove il mare restituisce storie di disperazione e resilienza.

Lo rivediamo ancora, anni dopo, nel suo cammino forse più faticoso, passo incerto ma sguardo fermo, tra i detenuti di un carcere romano. Lì, accanto a chi vive dietro le sbarre, lo sentiamo quasi sussurrare a se stesso la domanda che scuote le coscienze: «Perché loro e non io?». Una domanda che rivela un’umiltà profonda, un interrogarsi continuo sul mistero del dolore e della fragilità umana, un sentirsi parte dello stesso destino.
E poi, l’immagine potente dopo la benedizione Urbi et Orbi. Il Pontefice che sceglie di passare ancora una volta tra la sua gente. Il volto segnato dalla stanchezza degli anni e delle fatiche, ma la mano ferma nel benedire, e quegli occhi… sembravano già contemplare l’orizzonte del mondo nuovo, quello del Regno promesso. Il pastore in mezzo al suo popolo, fino all’ultimo, indicando con la sua stessa presenza il futuro: quella Risurrezione di Cristo che ci riscatta dall’oblio, dalla paura del nulla.

Un pontificato iniziato simbolicamente nel cuore del Mediterraneo, tra i barconi dei disperati, e conclusosi idealmente tra le mura di un carcere. Risuonano ancora le parole del Vangelo che sembrano averne guidato i passi: «Ero forestiero e mi avete accolto… ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Dodici anni intensi, senza mai, si dice, un giorno di riposo. Sempre in viaggio, sempre “in piedi”. Ci ha mostrato, con la forza silenziosa dell’esempio, che si può – si deve – sognare a qualsiasi età. Che ogni stagione della vita, anche la più avanzata, conserva la sua intrinseca bellezza se non si abdica alla facoltà di sognare, di sperare, di tendere a qualcosa di più alto.

Ci ha parlato di una Chiesa “in uscita”, chiamata a farsi prossima, ad abbattere i muri eretti da un’economia che scarta, i muri dei nazionalismi che chiudono i cuori e le frontiere, i muri dell’ignoranza e del razzismo che avvelenano la convivenza.
La vita, ci ha ricordato Papa Francesco con la sua stessa esistenza, è un soffio, preziosa e fragile. E la Chiesa, in questo nostro tempo, deve farsi portatrice di speranza, capace di gettare ponti là dove altri costruiscono muri, abile nell’indicare il cielo anche quando la terra sembra franare sotto i piedi.
La sua eredità è un invito, per tutti, a rimanere “in piedi”, portatori di speranza, costruttori di ponti, sognatori con lo sguardo rivolto al cielo, anche quando le forze sembrano venire meno. Perché è nel sogno, nutrito dalla fede e dall’umanità, che troviamo la forza per continuare a camminare verso il futuro. 

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